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La Tassa sui rifiuti

Rubrica a cura del
Dott. Giuseppe Di Nardo
già Magistrato di Cassazione e Giudice Tributario
LA TASSA SUI RIFIUTI
(Aggiornamento Gennaio 2023)

  
Premessa
Al fine di chiarire quale sia la natura giuridica della somma di danaro che il cittadino versa al Comune per il prelievo e lo smaltimento dei rifiuti è necessario innanzitutto precisare cosa sia la tassa e in cosa essa differisca rispetto al corrispettivo privatistico di una prestazione resa da un ente al cittadino.
Poichè inoltre, come si vedrà di seguito, la somma versata al Comune dal cittadino, per il prelievo dei rifiuti, talora ha assunto la configurazione di corrispettivo privato, si esporrà di seguito una breve cronistoria della c.d. tassa sui rifiuti dopo averne chiarito la differenza con il corrispettivo privato.

  1. La differenza tra la tassa e il corrispettivo privato
La tassa costituisce una specie del genere tributo nel quale è ricompresa anche l'imposta.
L'imposta è una prestazione obbligatoria di denaro dovuta dal contribuente in base alla propria capacità contributiva allo Stato o a diversa Amministrazione Finanziaria (quale un ente pubblico territoriale) per finaziare spese pubbliche, ovvero costi di servizi ed opere di pubblica utilità per la totalità dei cittadini, costi che per tale motivo sono indivisibili.
Anche la tassa costituisce una prestazione obbligatoria di denaro dovuta all'A.F., ma, a differenza dell'imposta, è destinata a sostenere una spesa divisibile consistente in un determinato servizio erogato al contribuente, mentre per l'imposta, attesa la generalità delle prestazioni fornite, non è possibile determinare il servizio erogato al contribuente.
Il corrispettivo di diritto privato poi si differenzia dalla tassa poiché, se è pur vero che entrambi si fondano sull'obbligatorietà della controprestazione resa da un ente ad un soggetto privato,  il primo è caratterizzato dalla volontarietà del rapporto sinallagmatico tra gestore ed utente e dall'assoggettamento ad IVA, esclusi per il tributo (artt. 1,3 e 4 D PR 633/72).
E' poi da precisare che la natura tributaria della tassa comporta che ogni controversia relativa ad essa è devoluta alla giurisdizione tributaria, mentre per  la prestazione corrispettiva di diritto privato le controversie sono devolute alla giurisdizione ordinaria.
Poichè, come si esporrà di seguito, la c.d. tassa sui rifiuti non sempre è stata configurata come tributo ma talora è stata prevista come un servizio reso dal Comune al cittadino in base ad una convenzione privata, saranno di seguito esposte le varie vicissitudini di essa.

  1. Il pagamento per il prelievo e smaltimento dei rifiuti, da corrispettivo privato a tributo

Nell'anno 1931 il Regio Decreto n.1175 (c.d. Testo Unico per la finanza locale) disponeva, nell'art.268, che al Comune doveva essere versato un “corrispettivo per il servizio di ritiro e trasporto delle immondizie domestiche”.
Nel testo del predetto R.D. era chiaramente prevista la natura privatistica del rapporto sinallagmatico tra l'utente ed il Comune, onde può correttamente affermarsi che originariamente la c.d. tassa per i rifiuti costituiva in realtà una controprestazione per un servizio fondata sulla concorde volontarietà delle parti.
Successivamente, con l'art.21 del DPR 915/82 (che dava attuazione a varie Direttive Comunitarie relative allo smaltimento dei rifiuti per la tutela dell'ambiente), l'art.268 già cit. fu completamente modificato disponendo che, a decorrere dal 1 gennaio 1984 “Per i servizi relativi allo smaltimento... dei rifiuti solidi urbani interni i Comuni devono istituire una tassa annuale in base a tariffa...”.
Nell'occasione fu anche stabilito il costo del servizio da determinare nel limite massimo di gettito, al netto delle entrate derivanti dal recupero e riciclaggio dei rifiuti sotto forma di energia.
Qualche anno dopo, con l'art.8 del D.L. n.66/1989 (conv. con modifiche in L. n.144/89) fu confermata la natura di tassa comunale per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni,  ma il predetto servizio fu esteso ai rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche o soggette ad uso pubblico disponendosi che “il gettito complessivo (della tassa n.d.r.) non può superare il costo dei servizi stessi”.  

     3) La TARSU -Tassa sui Rifiuti Solidi Urbani

Con il Decreto Legislativo n.507/1993, che disciplinava, oltre all'imposta comunale sulla pubblicità e affissioni e la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di province e comuni, anche la tassa sullo smaltimento dei rifiuti, fu istituita la c.d. TARSU.
Disponeva infatti l'art.58 che “Per il servizio relativo allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati ad ogni effetto ai sensi dell'art.60, svolto in regime di privativa nell'ambito del centro abitato, delle frazioni, dei nuclei abitati ed eventualmente esteso alle zone del territorio comunale con insediamenti sparsi, i comuni debbono istituire una tassa annuale, da disciplinare con apposito regolamento ed applicare in base a tariffa con l'osservanza delle prescrizioni e dei criteri di cui alle norme seguenti”.
Come è evidente la disposizione aveva espresso riferimento ai soli rifiuti solidi interni, mentre per quanto concerneva quelli definiti equiparati va rilevato che la loro menzione fu soppressa dal comma 3 dell'art.39 della Legge n.146/1994.
Solo con l'art.3, comma 68, della Legge n.549/1995, che aggiunse il comma 3 bis all'art.61 del Dlgs. n.507/1993, la TARSU fu estesa anche ai rifiuti esterni, ovvero a quei rifiuti giacenti sulle strade pubbliche o sulle spiagge.
Con lo stesso provvedimento (Dlgs n.507/93) furono anche indicati i soggetti passivi del tributo, ovvero coloro che occupano o detengono locali od aree scoperte, a qualsiasi uso adibite, esistenti nelle zone del comune.
Il servizio doveva essere reso in via continuativa ed era posto a carico dei soggetti passivi l'obbligo di denunciare l'occupazione o la detenzione dei locali, con correlativo potere del Comune di emettere motivati avvisi di accertamento in caso di denuncia omessa o infedele.
L'obbligo di pagare la tassa era escluso solo in relazione agli immobili in condizioni tali da non potere produrre rifiuti, essendo peraltro irrilevante che il soggetto passivo provvedesse egli stesso allo smaltimento.
In pratica l'obbligo di pagamento della TARSU aveva riferimento unicamente all'attitudine media ordinaria alla produzione dei rifiuti per unità di superficie e tipo di uso del servizio da parte del soggetto passivo.
Erano inoltre previste riduzioni della tassa per i piccoli Comuni (con popolazione inferiore a 35000 abitanti) o per le zone in cui la raccolta era effettuata solo in determinati periodi dell'anno.
Per quanto concerne la natura, chiaramente di diritto pubblico e non privato del prelievo, rileva non solo l'espressa dicitura tassa contenuta nel cit.Dlgs.507/93, ma anche ulteriori due elementi, ovvero la norma di cui all'art.59 Dlgs. cit. secondo la quale “l'interruzione temporanea del servizio di raccolta per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi non comporta esonero o riduzione del tributo” nonché la disposizione del comma 3 bis dell'art.61 per cui rilevava anche il costo dello spazzamento dei rifiuti esterni.
Infine, per quanto riguarda la riscossione, era fatto rinvio (art.72), in quanto compatibili, alle disposizioni del DPR 600/73 e del DPR 43/88 concernenti la riscossione dei tributi.

       4) La TIA/1 (Tariffa di Igiene Ambientale)

Con l'art.49 del Dlgs.n.22/1997 (c.d. Decreto Ronchi, successivamente modificato dall'art.1, comma 28 L. n.426/98 e dall'art.33 L. n.488/1999) fu soppressa, a decorrere dal 1 gennaio 2000, termine rinviato alla fine del 2008 (ex L. 96/2006 e DL 208/2008), la TARSU e fu stabilito l'obbligo dei Comuni di istituire la c.d. TIA/1 (tariffa di igiene ambientnale) in base alla quale doveva essere  prevista una tariffa per coprire i costi della gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade pubbliche e ad uso pubblico entro il territorio comunale.
Secondo il testuale disposto del comma 4 del cit. art. 49 la detta tariffa “è composta da una quota determinata in relazione alle componenti del costo essenziale del servizio, riferito in particolare agli investimenti per le opere, dai relativi ammortamenti e da una quota rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti, al servizio fornito e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio”.
La predetta tariffa era determinata dagli enti locali ed applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare.
Quanto alla natura giuridica della TIA/1 giova ricordare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 238/2009 e con l'Ordinanza n.64/2010, dopo un attento esame delle caratteristiche del detto prelievo, pervenne alla conclusione che trattavasi di tributo, così risolvendo un grave contrasto che si era verificato tra i giudici di legittimità (v. S.U. Ord. 3274/2006- prestazione privata- contra S.U. Ord. 3171/2008 e sent. 13902/09 e 4895/06).
La Consulta premetteva innanzitutto l'assoluta irrilevanza del termine tariffa, della alternatività rispetto alla TARSU e della possibilità di riscossione a mezzo ruolo, rilevando inoltre che nel Decreto Ronchi il termine  corrispettivo non è mai riferito alla TIA/1, ma solo con riguardo alla TIA/2 (art. 238/1 Dlgs 152/2006) e concerne unicamente la Tariffa Integrata Ambientale.
Precisava poi che la TIA/1 ha disciplina analoga alla TARSU la cui natura tributaria non era mai stata posta in dubbio.
A sostegno della affermata natura tributaria della TIA/1 rilevava che: 1) l'obbligo di pagamento era generato non dalla reale produzione di rifiuti e dalla effettiva fruizione del servizio, ma solo dall'utilizzo di superfici potenzialmente idonee a produrre rifiuti e dalla potenziale fruibilità del servizio; 2) entrambi i tributi erano caratterizzati dalla struttura autoritativa, e non sinallagmatica, nella quale viene colpita la capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo (art.3 DPR 633/72), non già quando si paga un tributo in cui la capacità contributiva rileva ex se; 3) per entrambi i tributi era prevista la giurisdizione del giudice tributario, a nulla rilevando che per la TIA/1 erano emesse  bollette e non fatture, poiché in via interpretativa era possibile ritenere impugnabili innanzi al G .T.  anche atti diversi da quelli indicati dall'art.19 Dlgs.546/92 (v. Cass. 17526/07); 4) ex art.49/14 Dlgs. 22/97 l'autonomo avviamento a recupero dei rifiuti da parte del produttore di essi determinava solo una riduzione del tributo, come previsto dall'art.67/2 del Dlgs. 507/93 per la TARSU, e tanto comportava per entrambi i tributi l'esclusione di un rapporto di sinallagmaticità; 5) una volta esclusa la configurabilità della natura di corrispettivo per TARSU e TIA/1, conseguiva per entrambi l'esclusione dall'IVA.
In conclusione la Consulta affermò che la TIA/1 non era altro che una mera variante della TARSU.

       5) La TIA/2 (Tariffa Integrata Ambientale).

Con l'art.238 del Dlgs n.152/2006 (c.d. Codice dell'Ambiente) in vigore dall'aprile 2006 fu soppressa la Tariffa di Igiene Ambientale (cd. TIA/1 prevista dall'art.49 Dlgs. n.22/1997) e sostituita dalla Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani  che fu successivamente denominata, ex art.5 D.L. n.208/2008,  “Tariffa Integrata Ambientale” c.d. TIA/2.
La TIA/2, secondo il chiaro disposto dell'art. 238 cit., era dovuta da “chiunque possegga o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte ad uso privato o pubblico non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti sulle zone del territorio comunale, che producano rifiuti urbani”.
La TIA/2, diversamente dalla TIA/1, era un'entrata di diritto privato poiché, sempre secondo il cit. art.238, costituiva “il corrispettivo per lo svolgimento del servizio di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e ricomprende anche i costi indicati dall'art.15 del Dlgs. 13/1/2003 n.36”.
Essa era rapportata “alla qualità e quantità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte sulla base di parametri...che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali”.
La natura privatistica della TIA/2 si evince chiaramente non solo dalla sua definizione di corrispettivo contenuta nella legge, ma anche dal fatto che l'obbligo del pagamento era generato dalla effettiva produzione di rifiuti ed era commisurato alla qualità e quantità dei rifiuti prodotti.
In quanto obbligazione di diritto privato essa era soggetta all'IVA (art. 3 DPR 633/72), poichè costituiva una prestazione di servizi verso corrispettivo dipendente da obbligazione di fare e, per l'eventuale contenzioso, rientrava nella giurisdizione del Giudice Ordinario.
Il passaggio dalla TIA/1 alla TIA/2 risulta abbastanza travagliato.
Come si è già precisato l'art.238 Dlgs. n.152/2006 prevedeva la soppressione della TIA/1 dall'aprile 2006. Tuttavia il comma 11 del cit. art.238 stabiliva l'obbligo di applicazione della disciplina vigente (ovvero della TIA/1) fino alla completa attuazione della TIA/2 che doveva avvenire  mediante l'emanazione di un regolamento ministeriale e l'adozione di ulteriori adempimenti.
Poichè il detto regolamento ministeriale non veniva emanato, con vari provvedimenti legislativi (art.1, comma 184, L.296/2006, art.1, comma 166 L. 244/2007 e art.5, comma 1, D.L.288/2008) il detto termine fu rinviato prima all'anno 2009 e quindi al 30/6/2010.
Alla scadenza del predetto ultimo termine i Comuni che avevano mantenuto la TARSU e la TIA/1 mantennero le dette tariffe, ferma la facoltà di applicare la TIA/2 dal 30/6/2010.
Pertanto, per quanto concerne il periodo successivo al 30/6/2010, è necessario distinguere  il caso dei Comuni che, avvalendosi della facoltà di cui all'art. 5, comma 2, DL. 208/2008, non essendo stato emanato il Regolamento ministeriale, con proprio Regolamento adottarono la TIA/2, dai Comuni che, non essendosi avvalsi della facoltà predetta, optarono per il mantenimento della TIA/1.
Solo nel primo caso (TIA/2), trattandosi di corrispettivo privato, era applicabile l'IVA e la giurisdizione apparteneva al G.O. Nel secondo caso (TIA/1) si era in presenza di un tributo, senza possibilità di applicare l'IVA e con attribuzione della giurisdizione al Giudice Tributario.

      6) La TARES (TAssa sui Rifiuti E Servizi)
Con l'art.14 del D.L. n.201/2011 (conv. in L. n.214/2011, e succ. modifiche, cd. Decreto Salva Italia) fu istituito il tributo comunale sui rifiuti e servizi, a decorrere dal 1 gennaio 2013, ma sospeso fino al luglio 2013, per la difficoltà di redazione dei Regolamenti comunali, e rimasto in vigore fino al 31 dicembre 2013.
La TARES, espressamente definita tributo comunale dal cit.art.14, andava a sostituire tutti i previgenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale che di natura tributaria, ovvero sia la TARSU che la TIA che, ex art. 46 DL. cit., erano soppressi a decorrere dal 1 gennaio 2013.
Con l'art.29 del cit. DL era precisato che “I comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico possono, con regolamento, prevedere l'applicazione di una tariffa avente natura corrispettiva, in luogo del tributo”.
Con la TARES il Comune finanziava le spese di gestione (dalla raccolta allo smaltimento) dei rifiuti; essa era dovuta al Comune in cui era ubicato l'immobile occupato, in base alle eventuali riduzioni e secondo le modalità di pagamento previste dal regolamento.
La TARES era destinata alla copertura, oltre che del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, anche di ulteriori servizi per i cittadini, come l'illuminazione e manutenzione delle strade, i servizi di polizia municipale, l'anagrafe, il verde pubblico.
La tariffa, tributo o corrispettivo, era calcolata sulla base della quantità e qualità dei rifiuti prodotti, in considerazione anche dell'uso dell'immobile e dell'attività in esso svolta dal soggetto passivo del tributo.
La TARES rimase in vigore fino al 31/12/2013. Dal 1 gennaio 2014 fu sostituita dalla TARI, di cui si dirà di seguito.



       7)  La TARI (TAssa sui RIfiuti)

Con l'art.1, commi da 639 a 736, della Legge n.147 del 2013 (c.d. legge di stabilità per il 2014) fu introdotta la TARI, tassa sui rifiuti, quale tributo facente parte, insieme all'IMU (Imposta Municipale Unica) e alla TASI (Imposta sui servizi), della IUC (imposta unica municipale).
La TARI andava a sostituire, a decorrere dal 1 gennaio 2014, tutte le precedenti obbligazioni per il pagamento dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, ovvero la TARSU e successivamente la TIA/1, la TIA/2 e la TARES, ovvero sia i prelievi tributari che quelli patrimoniali.
Con la legge n.160/2019 (c.d. legge di bilancio per il 2020) fu abolita la IUC e, con essa, anche la TASI mentre rimasero in vigore (e sono tuttora vigenti) sia l'IMU che la TARI, così come disciplinate dalla L. n.147/2013.
L'art.1, comma 641, della Legge di stabilità 2014, chiarisce quale sia il presupposto della TARI, ovvero “il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni condominiali di cui all'art.1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva”.
Nel successivo comma 642 sono indicati i soggetti passivi della tassa: “La TARI è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. In caso di pluralità di possessori o di detentori, essi sono tenuti in solido all'adempimento dell'unica obbligazione tributaria”.
Dal testuale disposto della legge risulta che la TARI è una tassa a carico dell'utilizzatore, sia esso possessore o solo utilizzatore di locali od aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti, prescindendo dall'uso cui l'immobile sia adibito (“chi inquina paga”).
La detenzione dell'immobile deve essere però superiore a sei mesi nel corso dello stesso anno, poiché, in caso contrario, obbligato al pagamento è chi possiede a titolo di proprietà usufrutto, uso, abitazione o superficie.
In caso di occupazione dell'immobile da parte di più persone, tutte sono obbligate in solido al pagamento del tributo. In caso di multiproprietà responsabile del pagamento della TARI è colui che gestisce i servizi comuni.
Pertanto il pagamento della TARI è rapportato alla alla quantità della superficie calpestabile e all'occupazione immobiliare, prescindendo del tutto dalla quantità effettiva dei rifiuti prodotti, circostanza questa che comporta la natura tributaria della TARI poiché si tratta di una tassa di scopo con cui la spesa è posta a carico delle categorie di soggetti che da essa traggono vantaggio e poiché deve essere corrisposta anche se non vi sia stata produzione effettiva di rifiuti, onde difetta il rapporto sinallagmatico tra la prestazione che comporta l'onere e il beneficio concreto del singolo.
Rimane comunque in vigore anche l'art.1, comma 668, della L. n.147/2013 in forza del quale i Comuni che avevano realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico hanno la facoltà di applicare, in luogo della TARI, che è una tassa, una tariffa avente natura di corrispettivo ( c.d. TARIP).
La TARI deve essere corrisposta secondo le modalità previste da ciascun Comune, ovvero in genere con modello F24, con bollettino postale o con MAV. Per il pagamento a mezzo modello F24, l'Agenzia delle Entrate ha, con la Risoluzione n.5/2021, indicato i nuovi codici tributo, ovvero Tefa per il tributo, Tefn per gli interessi e Tefz per le sanzioni.
Dall'anno 2020 è previsto, secondo le regole stabilite dal Comune, un bonus TARI per le famiglie con reddito basso e per i beneficiari del reddito di cittadinanza.
La legge di Stabilità 2014, nei commi 656 e seguenti, prevede poi riduzioni obbligatorie e riduzioni facoltative per la TARI.
Le riduzioni obbligatorie sono previste per omissione del servizio, violazione della disciplina dello stesso o interruzione del servizio per motivi sindacali o impedimenti organizzativi che abbiano determinato  situazioni di pericolo o danno alle persone o all'ambiente.
Le riduzioni facoltative sono previste per abitazioni con unico occupante o abitate solo discontinuamente o per locali, diversi  dalle abitazioni e aree scoperte, occupati da soggetti non residenti o dimoranti all'estero per oltre sei mesi, o per fabbricati rurali ad uso abitativo.
In base alle disposizioni dell'ARERA (Autorità per la regolazione per energia reti e ambiente) contenute in uno specifico Documento che disciplina i costi di esercizio e investimento del servizio per i rifiuti per gli anni decorrenti dal 2018, sono esclusi dal calcolo dei costi della TARI quelli non collegati in maniera diretta con i rifiuti urbani, come la derattizzazione o lo spazzamento della neve, costi per i quali i Comuni devono provvedere con le proprie risorse diverse dalle entrate del tributo. Per gli aumenti del tributo è previsto un tetto massimo e comunque necessita una specifica motivazione attinente al miglioramento del servizio o alla riorganizzazione dello stesso.
Ulteriore regolamentazione è prevista dal Dlgs. n.116 del 2020 che ha dato attuazione alle Direttive UE n.2018/851 e n. 2018/852 (relative ai rifiuti nonchè agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio).
Con il cit. Dlgs. è stata estesa la definizione di rifiuto urbano ai rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata prodotti dalle attività indicate nell'allegato L quinquies, rifiuti che sono simili, per natura e composizione, ai rifiuti domestici indicati nell'allegato L quater, mentre i rifiuti assimilati a quelli urbani sono stati sostituiti dai rifiuti urbani prodotti dalle imprese, escluse le industrie.
Tali disposizioni hanno comportato la necessità, per i Comuni, di modificare i regolamenti comunali, in particolar modo modificando le riduzioni disposte dal comma 649 della L. 147/2013 relative alla quota variabile della TARI.
Inoltre, per effetto della modifica recata dal cit. D.lgs. 116/2020 al comma 10 dell'art.238 e successivi provvedimenti, l'utente non domestico deve scegliere tra il servizo privato e quello pubblico per almeno due anni. Potrà successivamente passare dal servizio privato a quello pubblico, ma non viceversa.
Per quanto concerne i soggetti obbligati, sono esclusi dal pagamento della TARI i magazzini delle industrie, poiché producono solo rifiuti speciali, ma non i centri commerciali e gli ipermercati.
Va infine precisato che la tassa sui rifiuti (TARSU, TIA/1, TARES o TARI) quale tributo di competenza comunale, deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro anni cinque.
Dispone infatti il comma 161 dell'art.1 della Legge 296/2006 che “Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all'accertamento d'ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d'ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento avrebbero dovuto essere effettuati. Entro gli stessi termini devono essere contestate o irrogate le sanzioni amministrative tributarie, a norma degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n.472 e successive modificazioni”.
Successivamente precisando che “Nel caso di riscossione coattiva dei tributi locali il relativo titolo esecutivo deve essere notificato al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo”.
Nella diversa ipotesi in cui la somma versata per il prelievo e smaltimento dei rifiuti sia costituita da corrispettivo di diritto privato (TARIP), essa, come tutte le somme che costituiscono versamenti periodici, in base all'art.2948 c.c., è soggetta unicamente alla prescrizione quinquennale.
Deve rilevarsi in proposito che alla decadenza, diversamente dalla prescrizione, in base alla regola generale prevista dall'art. 2964 c.c., non si applicano gli istituti della sospensione e della interruzione, salvo diversa disposizione.
Nell'ipotesi della TARI la diversa disposizione (che prevede la sospensione) è stata posta dall'art.68 del DL 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia) che è norma eccezionale emanata per fronteggiare il periodo emergenziale della pandemia COVID.
Con i commi 1 e 2 della citata disposizione erano sospesi i termini dei versamenti, delle entrate tributarie e non tributarie, comprese le ingiunzioni e gli avvisi emessi dai Comuni scadenti nel periodo dall'8 marzo 2020 al 31 agosto 2021.
Veniva altresì disposta la proroga, fino a 24 mesi, dei carichi, tributari e non, affidati all'agente della riscossione.
In conclusione, per effetto dell'art. 68, nonchè dei vari successivi provvedimenti emessi nel periodo emergenziale (DL 9/20 – c.d. Decreto Emergenza- DL 18/20 – c.d. Decreto Cura Italia- e DL 23/20 – c.d. Decreto Liquidità) seguiti dai vari DPCM, si verificava la seguente situazione: 1) per quanto concerne la decadenza, ai fini della notifica dei titoli accertativi di tributi comunali, il cui termine sarebbe scaduto negli anni della sospensione 2020 e 2021, il nuovo termine per la notifica dell'ingiunzione o della cartella veniva spostato al 31/12/2023; la detta disposizione non riguarda le entrate patrimoniali che sono assoggettate alla sola prescrizione; 2) per i titoli accertativi divenuti definitivi nel 2019 o nel 2020 la proroga è pari a giorni 542, ovvero al periodo dall'8 marzo 2020  al 31 agosto 2021.
Per quanto concerne la riscossione coattiva la proroga della prescrizione, che sarebbe maturata nel 2020 o nel 2021, è fissata al 31/12/2013 (giorni 542).

Giuseppe Di Nardo
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