Ingiunzione di pagamento - Avvocato Penalista Napoli e Isernia. Avvocati Penalisti Napoli

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Ingiunzione di pagamento

Rubrica a cura del
Dott. Giuseppe Di Nardo
già Magistrato di Cassazione e Giudice Tributario
L'INGIUNZIONE DI PAGAMENTO
un istituto in via di estinzione
(aggiornamento Giugno 2020)

1) le origini dell'ingiunzione di pagamento

L'ingiunzione di pagamento, nota anche come ingiunzione fiscale (aggettivo questo, però, più propriamente riferibile alle sole entrate tributarie), fu originariamente prevista e disciplinata dal Regio Decreto 14 aprile 1910 n.639 con cui fu approvato il testo unico delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato e di vari altri enti territoriali (tra cui le Province, i Comuni, il Fondo per il culto, gli enti ecclesiastici, le istituzioni pubbliche di beneficenza).
Nel R.D. era precisato che essa consisteva nell'ordine, emesso dall'ente creditore nei confronti del privato, di pagare entro trenta giorni la somma dovuta sotto pena degli atti esecutivi; era vidimata e resa esecutoria dal pretore competente (avente giurisdizione nella sede dell'ente) e doveva essere notificata nella forma  delle citazioni da un ufficiale giudiziario o da un messo dell'ufficio di conciliazione.
Secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale (tra le altre Cass. 5906/2000) l'ingiunzione aveva natura di provvedimento amministrativo complesso poiché costituiva  non solo  formale accertamento del credito ma anche titolo esecutivo e precetto per dar luogo al procedimento esecutivo.
L'imposizione oggetto dell'ingiunzione derivava dal potere di supremazia della P.A. alla quale era consentito di realizzare coattivamente la propria pretesa. Ovviamente per le entrate patrimoniali diverse da quelle tributarie era pur sempre necessario un precedente atto proveniente dalla volontà del soggetto debitore dal quale risultasse che la somma dvuta avesse i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità.
In questa sede non sembra superfluo ricordare che nell'anno 1910 il procedimento monitorio per  decreto ingiuntivo (art.633 e sgg. c.p.c.) non esisteva, esistendo unicamente un procedimento, disciplinato dall'art.379 del codice di procedura civile del 1865, che consentiva solo ad alcuni soggetti del processo (avvocati, cancellieri etc.) di ottenere dal presidente del tribunale un ordine di pagamento delle proprie competenze, ordine opponibile innanzi allo stesso presidente.
L'istituzione dell'ingiunzione di pagamento  ebbe grande rilevanza specie in campo tributario poiché all'epoca non era ancora prevista la riscossione dei tributi a mezzo del ruolo, e tanto spiega perchè proprio in seguito all'introduzione della predetta riscossione e dell'istituzione del servizio centrale della riscossione, l'ingiunzione fu, gradualmente, quasi del tutto eliminata dall'ordinamento giuridico.
Come meglio si vedrà di seguito le entrate patrimoniali riscuotibili a mezzo dell'ingiunzione di pagamento possono essere di diritto pubblico o di diritto privato. Le prime possono ulteriormente essere distinte in: a) entrate tributarie, se aventi ad oggetto imposte o tasse (ICI, IMU, TASI, TOSAP); b) entrate patrimoniali generiche di diritto pubblico se aventi ad oggetto sanzioni amministrative, sanzioni per il Codice della Strada (contrariamente a quanto ritenuto dal MEF come si dirà di seguito), contributi per servizi su domanda individuale (rette di asili, servizi cimiteriali, trasporto scolastico etc.) oneri di urbanizzazione, contributi per costi di costruzione etc..
Le entrate patrimoniali di diritto privato sono tutte quelle che hanno origine da rapporti privati quali gli affitti comunali, il servizio idrico etc.
Come si è accennato solo per le ingiunzioni di pagamento aventi ad oggetto i tributi è corretto parlare di ingiunzione fiscale, anche se questa è espressione che non ricorre mai nella legge che, sia per le entrate tributarie che per tutte le altre entrate patrimoniali,  indica il provvedimento come “l'ingiunzione di cui al R.D. 639/1910”.
E' bene ribadire altresì che per tutti i tipi di entrate, sia di diritto pubblico che di diritto privato, ai fini dell'emissione dell'ingiunzione è sempre necessario che il credito sia certo, liquido ed esigibile, ovvero che derivi da fonti, fatti e parametri oggettivi essendo riservato all'Amministrazione il mero potere di accertare l'esistenza dei detti elementi per la formazione del titolo.
Di seguito si tratterà dei vari mutamenti che ha subito l'ingiunzione di pagamento fino alla recente legge n.169/2019 che ne ha ridotto la sopravvivenza a rarissimi casi.
Sin da adesso però è possibile affermare che elementi necessari dell'ingiunzione di pagamento sono; a) il soggetto, ovvero l'ente creditore che la emette; b) la motivazione con la indicazione delle somme richieste; c) l'intimazione di pagamento con l'avviso che in difetto seguirà il pignoramento.
Già nel R.D. 639/10 era espressamente previsto che essa ingiunzione fosse vidimata e resa esecutoria dal pretore e quindi notificata dall'ufficiale giudiziario (o dal messo di conciliazione) nella forma della citazione.
Avverso l'ingiunzione il debitore può sempre proporre impugnazione innanzi al giudice competente per materia e per territorio come meglio si dirà di seguito.
E' opportuno però rilevare che l'art.3 del R.D. 639/1910 prevedeva che avverso l'ingiunzione era possibile proporre ricorso gerarchico in via amministrativa oppure opposizione giurisdizionale innanzi al giudice ordinario. Ed è bene altresì precisare che, come ritenuto da autorevole giurisprudenza (Cass. S.U. 29/2016), in ordine ai tributi la giurisdizione, anche sulle ingiunzioni fiscali, sin dalla istituzione del Giudice tributario, è da ritenere devoluta appunto al detto giudice poiché “...è da escludere che la mera sostituzione dell'art.3 del RD n.639 del 1910 ad opera dell'art.34, comma 40, del d.lgs. n.150 del 2011,  il quale dispone che “- Avverso l'ingiunzione prevista dal comma 2 si può proporre opposizione davanti all'autorità giudiziaria ordinaria. L'opposizione è disciplinata dall'art. 32 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n.150 -” sia idonea, di per sé da sola, ad attribuire alla giurisdizione del giudice ordinario tutte le controversie introdotte con l'opposizione ad ingiunzione fiscale” .
Giova ricordare che già nell'anno 2005 le Sezioni Unite della Cassazione (sent.n.30) avevano rilevato che “...la normativa del 1910 è rimasta sempre la stessa per cui esiste la necessità di una interpretazione che valga a raccordare le norme emanate in un tempo molto lontano ed in un contesto storico e giuridico molto diverso ai principi fondamentali nuovi, espressi soprattutto con riferimento a strumenti di tutela prima non previsti” precisando altresì che l'art. 2 Dlgs 546/92 già nella formulazione originaria devolveva alle Commissioni tributarie le controversi relative ai tributi comunali mentre nella riformulazione vigente, attuata con l'art.12 L.448/2001, attribuisce alla giurisdizione tributaria i tributi di ogni genere e specie, compresi quelli regionali, provinciali e comunali.
Invece, per quanto concerne le altre entrate patrimoniali, ricordando che l'ingiunzione era equivalente ad un titolo esecutivo e ad un precetto, l'opposizione costituiva una forma peculiare di opposizione all'esecuzione, non molto dissimile da quella di cui all'art.615 c.p.c. o  di opposizione agli atti esecutivi di cui all'art.617 c.p.c. poiché essa era spiegata contro un atto del creditore non soggetto ad alcun accertamento giurisdizionale preventivo circa la sua fondatezza nel merito, onde il debitore poteva contestare sia i profili formali dell'atto che quelli di merito, ovvero la sussistenza o meno del credito fatto valere (Cass. 2853/97, 2100/2001, 9421/2003).


2) L'evoluzione normativa dell'ingiunzione di pagamento

Con il DPR n.43/1988 fu generalizzato il sistema di riscossione a mezzo del ruolo e della cartella di pagamento di tutti i tributi sia dello Stato che degli enti locali e furono attribuiti ai concessionari tutti i compiti spettanti in precedenza agli esattori, compresa la riscossione dei crediti oggetto delle ingiunzioni di pagamento. In particolare con l'art.130 del detto DPR fu disposta l'abrogazione di tutte le disposizioni che regolavano, mediante rinvio al RD 639/1910, la riscossione dei tributi e di tutte le altre entrate previste dal predetto RD.
E' comunque da rilevare che, come ritenuto dalla prevalente giurisprudenza (Cass.5906/00- 12761/02 – 10923/03 e 24079/06) l'abrogazione predetta, in quanto relativa unicamente alla riscossione dei tributi, lasciò sopravvivere la funzione accertativa della ingiunzione che pertanto ebbe valore di atto impositivo con efficacia accertativa della pretesa dell'ente impositore idoneo, in quanto tale, ad introdurre un giudizio sulla debenza del credito.
Eliminata, quanto meno limitatamente alla funzione riscossiva, dall'ordinamento giuridico nell'anno 1988, l'ingiunzione fiscale fu reintrodotta nell'anno 1997 con l'art.52 del Dlgs. 446/97 che consentiva alle province ed ai comuni di disciplinare con regolamento la riscossione delle proprie entrate sia tributarie che extratributarie, in tal modo prevedendosi l'utilizzo della riscossione sia  tramite ruolo se effettuata a mezzo di agente della riscossione ex DPR 602/73, che tramite ingiunzione fiscale se effettuata direttamente o mediante affidamento ai soggetti “iscritti nell'albo di cui all'art.53 comma 1”  oppure  a soggetti muniti di specifici requisiti, tra cui le società a capitale pubblico (v. Cass. 21265/14).
Con il terzultimo comma dell'art.52 cit. fu prevista l'apposizione sui ruoli del visto di esecutorietà ad opera del funzionario responsabile della riscossione, onde, con l'art.229 del Dlgs 51/98, fu soppresso il visto del pretore sugli atti di ingiunzione, disponendosi la loro esecutorietà di diritto.
Con l'art.17 del Dlgs n.46/1999 fu disposta l'obbligatoria utilizzabilità del ruolo per la riscossione di tutte le entrate dello Stato e degli altri enti pubblici, anche previdenziali, esclusi quelli economici, prevedendosi comunque l'utilizzo solo facoltativo della riscossione a mezzo ruolo per le entrate  delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti locali, enti per i quali si ritenne consentita anche la riscossione a mezzo dell'ingiunzione fiscale. Fu inoltre previsto il potere del MEF di autorizzare la riscossione a mezzo ruolo anche per specifiche tipologie di crediti delle S.p.A. a partecipazione pubblica, disponendosi che le predette S.p.A. potevano procedere all'iscrizione a ruolo dopo avere emesso e resa esecutiva l'ingiunzione di cui al RD 639/1910 (art.17, comma 3 bis, Dlgs 46/99 come modificato dall'art.7, comma 1 sexies del DL 138/2002).
Con l'art.4 del DL 209/2002 (conv. in L.265/20029) fu disposto che i concessionari iscritti all'albo di cui all'art.53 del Dlgs 446/97, avrebbero provveduto alla riscossione coattiva delle somme risultanti dall'ingiunzione di cui al RD 639/1910  “secondo le disposizioni contenute nel titolo II del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili”.
In sintesi il potere di emettere l'ingiunzione predetta fu riservato esclusivamente agli enti locali, nonché alle S.p.A. a partecipazione pubblica autorizzate dal MEF, imponendosi agli enti predetti di utilizzare per la riscossione delle ingiunzioni fiscali non più la procedura prevista dal RD 639/1910 (che quindi era eliminata dall'ordinamento) ma la più snella procedura prevista dal titolo II del DPR 602/73, assimilandosi in tal modo ai fini della riscossione l'ingiunzione di pagamento alla cartella di pagamento.
Intanto il legislatore con l'art.68 del Dlgs 112/99 disponeva l'abrogazione del DPR 43/88 che, con l'art.130, aveva in precedenza disposto la abrogazione dell'ingiunzione fiscale
Con l'art.1, comma 163 della L.296/2006 fu testualmente disposto che “Nel caso di riscossione coattiva dei tributi locali il relativo titolo esecutivo deve essere notificato al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo”. La disposizione è rilevante per quanto si dirà di seguito in riferimento agli accertamenti per i tributi locali divenuti impoesattivi a decorrere dall'anno 2020.
E' opportuno precisare a questo punto che, in contrasto con quanto ritenuto dal MEF (nota 8427/2005 ed anche successivamente), con il comma 477 del citato art.1 L.296/06 fu espressamente previsto che i concessionari di cui all'art.53 Dlgs 446/97 avevano il potere di procedere all'accertamento, liquidazione e riscossione di tutte le entrate degli enti pubblici, comprese le sanzioni amministrative a qualsiasi titolo irrogate dall'ente con le stesse modalità previste per la riscossione delle entrate tributarie, onde in dette entrate dovevano ritenersi comprese anche le sanzioni per violazioni al codice della strada ( Cass. 21265/14).  Molto più chiaramente la giurisprudenza si era già espressa nel senso che “dalla previsione di utilizzabilità della procedura di ingiunzione, ai sensi del regio decreto 14 aprile 1910 n.639, contenuta nel decreto legislativo 15 dicembre 1997 n.446, art.52, comma 6, non va esclusa la riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa per la violazione di norme del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n.285” (Cass.8460/10).
Con l'art.36, comma 2, DL 248/2007 fu disposto che la riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali poteva essere effettuata mediante due sistemi, ovvero: A) l'ingiunzione di cui al RD 639/910 seguendo le disposizioni del titolo II del DPR 602/73 se svolta in proprio dall'ente o affidata ai soggetti di cui all'art. 52, comma 5 lett. b, Dlgs 446/97; B) la procedura di cui al DPR 602/73 se affidata agli agenti della riscossione di cui all'art.3 DL 203/2005.
Qualche anno dopo, con l'art.7, comma 2, lett. gg ter e quater, del DL 70/2011 (conv. in L. 106/2011) fu soppressa l'attività di riscossione da parte della S.p.A. Equitalia ( e delle società partecipate ) nonché della S.p.A. Riscossione Sicilia a decorrere dal 31/12/2012 disponendosi che a decorrere dalla stessa data tutte le entrate dei comuni sarebbero state effettuate a mezzo dell'ingiunzione di cui al RD del 1910 “che costituisce titolo esecutivo” e secondo le disposizioni di cui al titolo II del DPR 602/73.
In sintesi, eliminata l'attività di riscossione da parte di Equitalia, veniva eliminata per i comuni anche la riscossione a mezzo cartella.
Successivamente, con l'art.32 del DL 150/2011, fu disposto che le controversie avverso l'ingiunzione erano regolate con il rito ordinario di cognizione innanzi al giudice del luogo in cui era la sede dell'ente impositore. Questa disposizione fu ritenuta illegittima perchè contrastante con l'art.66 bis Dlgs 206/2005 che fissava la competenza territoriale del foro del consumatore ovvero la competenza del giudice del luogo in cui aveva residenza o domicilio il consumatore (giurisprudenza costante, da ultima Cass. 14475/19).
E' necessario comunque rilevare che dalla operata assimilazione dell'ingiunzione fiscale alla cartella esattoriale (effettuata come già detto con l'art.4, comma 2 sexies, DL 209/2002) conseguiva che, per effetto del combinato disposto degli artt. 2 e 19 Dlgs 546/92, l'opposizione  avverso l'ingiunzione finanziaria avente ad oggetto tributi e costituente titolo esecutivo, perchè fondata su accertamento non più contestabile, era proponibile innanzi al Giudice tributario (v. S.U. 6631/03, 5167/04, 24011/07 e, più di recente S.U. 29/16, 13913/17 e 7822/20), restando però riservata al Giudice ordinario qualla avente ad oggetto le entrate puramente patrimoniali (Cass. 1728/11).
Con il DL 193/16 (conv. in L. 225/16) veniva disposta la soppressione di Equitalia a decorrere dal 01/7/2017 e la istituzione dell'Agenzia delle Entrate Riscossione, quale ente pubblico economico, soggetto alla sorveglianza dell'Agenzia delle Entrate, alla quale veniva affidata l'attività di riscossione a mezzo ruolo delle entrate tributarie e patrimoniali delle Amministrazioni locali come indicate  nell'art.1, comma 3, della L. n.196/2009, disposizione che fa riferimento ad un elenco pubblicato annualmente nella Gazzetta Ufficiale dall'ISTAT che indica le amministrazioni centrali e locali dello Stato (Regioni, Province, Comuni, enti previdenziali, Consorzi di bonifica, Autorità portuali, Enti irrigui, Parchi ecc.).
   

3) L'accertamento esecutivo e la (quasi) soppressione dell'ingiunzione fiscale

Con l'art.1 della recente legge n.169/2019 (c.d. legge di bilancio 2020) in vigore dal 01/01/2020 è stato previsto (commi da 784 a 792) che per quanto concerne le province, le città metropolitane, i comuni, le comunità montane, le unioni di comuni e i consorzi tra gli enti locali, gli avvisi di accertamento relativi ai tributi e agli atti finalizzati alla riscossione delle entrate patrimoniali emessi dai detti enti e dai soggetti affidatari della riscossione, di cui all'art.52 Dlgs 446/97 e all'art. 1, comma 691 L.147/13, e il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni “devono contenere anche l'intimazione ad adempiere entro il termine di presentazione del ricorso (ovvero gg.60 o il diverso termine in caso di sospensione, NDR) ovvero, nel caso di entrate patrimoniali, entro sessanta giorni dalla notifica dell'atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali, all'obbligo di pagamento degli importi dagli stessi indicati” disponendosi inoltre l'acquisizione per gli avvisi stessi dell'efficacia esecutiva dopo il decorso dei termini predetti senza necessità di notifica della cartella o dell'ingiunzione fiscale.
Come è evidente da quanto in precedenza esposto per tutti gli enti indicati, con la sola eccezione della regione, l'ingiunzione fiscale è diventata un istituto non solo inutile, ma addirittura dannoso poiché il suo utilizzo comporterebbe una riscossione di certo più lenta, complessa e costosa rispetto all'accertamento esecutivo, onde la detta ingiunzione in pratica permane in vita solo per la riscossione dei tributi regionali (la tassa di possesso di autoveicoli e le sovrimposte regionali) non senza rilevare la possibilità per l'ente regionale, per il quale è esclusa l'utilizzabilità dell'accertamento esecutivo, di ricorrere comunque alla riscossione mediante ruolo.
Invero l'ingiunzione fiscale presenta vari problemi che non esistono per l'accertamento impoesattivo, poiché per essa è prevista una forma privilegiata di comunicazione, dovendo essere notificata, nella forma dell'atto di citazione, dall'ufficiale giudiziario addetto al tribunale o dal messo di conciliazione del giudice di pace, soggetti che hanno diritto alle previste competenze; é atto unilaterale posto in essere dalla P.A. senza contraddittorio, nell'esercizio del suo potere di autoaccertamento; se non emessa in esito ad attività di accertamento ha la funzione di titolo esecutivo e di precetto e può essere impugnata nel merito; se invece è preceduta da un atto di accertamento o di liquidazione (che sono essi titoli esecutivi se non opposti) ha la mera funzione di precetto e può essere impugnata solo per vizi propri
Comunque è un dato di fatto che con l'accertamento esecutivo, non dissimile da quello già previsto  dall'art.29 DL 78/2010 per gli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle Entrate per l'Irpef, l'Irap e l'IVA, a decorrere dal 01 gennaio 2020 gli indicati enti locali possono accelerare la procedura di riscossione coattiva sia dei tributi che delle altre entrate patrimoniali poiché il detto accertamento avrà nel contempo valore di atto impositivo, titolo esecutivo e precetto, onde, fatta eccezione per la Regione, è agevole ritenere che né l'ingiunzione  né la cartella di pagamento saranno mai più utilizzate dagli enti indicati che di certo si avvarranno del nuovo più efficace, strumento per la riscossione dei tributi di loro spettanza.
Per quanto riguarda il profilo soggettivo l'avviso di accertamento impoesattivo, previsto dalla L.160/2019, può essere emesso dagli enti indicati dal comma 784 dell'art.1 L169/19, ovvero province, comuni, città metropolitane, comunità montane, unioni di comuni e consorzi tra enti locali nonché, come indicato dal comma 792, dai soggetti affidatari della riscossione di cui all'art. 52, comma 5, lett. B del Dlgs 446/97, ovvero società iscritte all'albo della riscossione, operatori degli Stati membri UE, società interamente pubbliche e società miste, nonché soggetti affidatari di cui al comma 691 dell'art.1 della L. 147/2013 (affidatari della TARSU o della TARI).
Quanto all'oggetto, l'avviso impoesattivo può concernere i tributi degli enti indicati dal comma 784, oppure le entrate patrimoniali dei detti enti, nonché il connesso provvedimento di irrogazione della sanzione.
Le entrate patrimoniali possono a loro volta essere distinte in entrate di diritto pubblico (quali sanzioni amministrative, cosap, oneri edilizi, rette per mense scolastiche, per asili per servizi cimiteriali ecc) nonché in entrate patrimoniali di diritto privato (quali fitti comunali, servizio idrico, locazioni, obbligazioni privatistiche).
Ovviamente mentre per le entrate tributarie è necessaria unicamente la presenza dei presupposti impositivi, sulla cui esistenza  l'ente impositore effettua di ufficio l'accertamento, per le altre entrate patrimoniali, sia di diritto pubblico che di diritto privato, si richiede sempre l'esistenza di un atto del soggetto passivo che avrà in genere natura negoziale per le entrate di diritto privato.
In altri termini mentre l'imposizione tributaria è sempre fissata dalla legge, per le altre entrate patrimoniali è sempre necessario un elemento riferibile alla volontà del soggetto passivo.
La differenza dell'oggetto, ovvero la sua natura meramente tributaria  o di entrata patrimoniale diversa influisce anche in relazione al termine per l'adempimento, termine che è fisso per quanto concerne le entrate patrimoniali (giorni sessanta dalla notifica) ed è invece mobile per i tributi (termine di presentazione del ricorso che può variare in relazione alla presenza di istituti che lo sospendono o anche per la sospensione feriale di agosto).
Decorso quindi l'ulteriore termine di giorni trenta la riscossione è affidata in carico al soggetto legittimato alla riscossione forzata, riscossione che però è prorogata di ulteriori giorni 180 o di 120 giorni in caso di riscossione effettuata dallo stesso soggetto che effettuò la notifica, sospensione che non si applica alle azioni cautelari e conservative e in caso di accertamenti definitivi (comma 792 lett. a) cit.
Nell'avviso impoesattivo deve altresì essere precisato che in caso di tempestiva proposizione del ricorso avente ad oggetto  tributi si applicano le disposizioni relative all'esecuzione delle sanzioni tributarie (art.19 DLGS 472/97), oppure, in caso di diverse entrate patrimoniali, il rito ordinario innanzi al giudice dell'esecuzione.
La prevista duplice funzione dell'accertamento impoesattivo di avviso di accertamento e titolo esecutivo fa sorgere  il problema circa il valore da assegnare alla notifica, problema già sollevato  con riferimento all'accertamento esecutivo per i principali tributi erariali come introdotto dal DL 78/2010, art. 29 (v. la mia nota La notificazione degli avvertamenti impoesattivi in questo stesso sito).
Invero l'art.1, comma 792, lett. B, della cit. L.169/19 letteralmente dispone che “Gli atti di cui alla lettera a) (ovvero gli avvisi di accertamento relativi ai tributi e agli atti finalizzati alla riscossione emessi dagli enti locali, NDR) acquistano efficacia di titolo esecutivo decorso il termine utile per la proposizione del ricorso ovvero decorsi sessanta giorni dalla notifica dell'atto finalizzato alla riscossione delle entrate patrimoniali...”.
Tale essendo la lettera della legge consegue che alla notifica deve essere attribuito valore differente in considerazione della duplice funzione che è da attribuire all'atto; se si considera la funzione  accertativa alla notifica deve riconoscersi valore solo perfezionativo dell'efficacia dell'atto, sì che in caso di vizio della notifica la conoscenza di esso da parte del destinatario ne sana il vizio. Se invece viene considerata la funzione riscossiva alla notifica deve assegnarsi valore costitutivo, onde in caso di vizio di notifica l'atto si deve considerare inesistente e non è ammissibile alcuna sanatoria per vizi della notifica.
E' bene comunque precisare che l'accertamento impoesattivo per i tributi locali presenta un profilo differenziale rispetto a quello previsto per i tributi erariali, poiché solo per questi ultimi è prevista la riscossione frazionata ai sensi dell' art. 68 Dlgs 546/92, posto che quest'ultima disposizione fu emanata con esplicito riferimento all' art.15 DPR 602/73 applicabile ai soli tributi erariali (da ultimo v. Cass. 5318/19).
In ogni caso è necessario rilevare che, ai sensi dell'art.19 Dlgs 472/97, la riscossione frazionata è prevista per le sanzioni anche se riferite ai tributi locali.
Ovviamente  con l'entrata in vigore dell'accertamento esecutivo è accelerato il processo di riscossione delle entrate patrimoniali (incluse quelle tributarie) in favore degli enti locali poichè non esisterà più alcuna necessità di emettere l'ingiunzione o la cartella, essendo il tutto (accertamento, titolo esecutivo e precetto) ricompreso nell'avviso predetto inviato al debitore.
L'entrata in vigore dell'accertamento impoesattivo ha lasciato persistere alcune questioni.
Innanzitutto, se è pur vero che deve ritenersi non più esistente il termine decadenziale di anni tre (rectius del 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo) previsto per la notifica dell'atto di riscossione successivo alla intervenuta definitività dell'accertamento, non sussistendo più un atto di riscossione separato dall'atto di accertamento, permane ancora oggi per il detto accertamento impoesattivo il problema dell'eccessiva durata dell'assoggettamento del contribuente al potere del fisco.
Come è ben noto per la notifica dell'avviso di accertamento è dalla legge previsto a pena di decadenza il termine di anni cinque, o, più precisamente “il 31 dicembre del quinto anno successivo a  quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”  (ex art. 1, comma 161, L. 296/06) termine al quale può aggiungersi quello di successivi anni cinque previsto per la prescrizione del tributo ex art.2948 n.4 c.c. (tra le tante, Cass. 4283/10 e 30362/18), decorrenti dal giorno in cui il tributo è dovuto (o dall'ultimo atto interruttivo ritualmente notificato) e quindi dall'inutile decorso decorso dei termini previsti per impugnazione dell'avviso di accertamento (v. Cass. S.U. 16783/12). Complessivamente quindi il contribuente può essere assoggettato all'azione del fisco per ben 10 anni.
Orbene il termine di anni cinque fissato per la decadenza è da ritenere senza dubbio eccessivo, in modo particolare se poi, come può verificarsi, si somma a quello di ulteriori anni cinque previsto per la prescrizione, sì che non si ritiene superfluo rilevare che il legislatore ha perso una buona occasione per adeguarsi alle affermazioni della Consulta che, nella famosa sentenza n.280/2005,  dichiarò espressamente che non era  “consentito dall'art.24 della Costituzione lasciare il contribuente assoggettato all'azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque, se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo ed irragionevole”.
Altra rilevante questione concerne la possibilità o meno per l'ente locale di fare ricorso all'accertamento esecutivo per le contravvenzioni al Codice della Strada.
Come si è già detto l'accertamento impoesattivo, che ormai ha reso scarsamente utilizzabile sia l'ingiunzione di pagamento che la cartella, può avere per oggetto oltre che i tributi anche le altre entrate patrimoniali di diritto pubblico o anche privato.
Orbene tra le entrate di diritto pubblico vanno di certo annoverate le sanzioni amministrative .
Tuttavia, secondo l'interpretazione del MEF ( prot. 8427/05 nonché parere del 26/3/2020) dalle predette sanzioni amministrative devono ritenersi escluse le sanzioni per violazioni al Codice della Strada, e questo perchè il cit. comma 792 non richiama l'art.206  del Dlgs 285/92 (CdS) che, in quanto norma speciale, deve ritenersi non soggetta alla disciplina generale posta dal cit. comma 792, così come deve ritenersi escluso il c.d. bollo (tassa di possesso) per autoveicoli.
In contrario però si rileva  che, mentre è di certo condivisibile la ritenuta esclusione del bollo auto, trattandosi di tributo di spettanza della Regione la quale, come si è detto, è esclusa dal novero degli enti locali che possono emettere l'accertamento impoesattivo, altrettanto non può dirsi  relativamente alle sanzioni per violazioni al CdS poiché, come già affermato da autorevole insegnamento giurisprudenziale (v. Cass. 21265/14) l'ampiezza del riferimento alla “riscossione delle entrate patrimoniali” effettuato dal cit. comma 794 deve necessariamente ricomprendere tutte le entrate di diritto pubblico tra le quali non possono ritenersi escluse le sanzioni amministrative, incluse quelle derivanti dalle violazioni stradali.
Dalle considerazioni sopra esposte consegue che l'ingiunzione di pagamento (o ingiunzione fiscale) è nell'epoca attuale un istituto quasi inesistente poiché utilizzabile solo dalle Regioni e da taluni consorzi di enti locali, enti che comunque possono servirsi anche del più moderno strumento della riscossione mediante ruolo.



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