Patologia del processo tributario - Avvocato Penalista Napoli e Isernia. Avvocati Penalisti Napoli

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Patologia del processo tributario

Rubrica a cura del
Dott. Giuseppe Di Nardo
già Magistrato di Cassazione e Giudice Tributario
PATOLOGIA DEL PROCESSO TRIBUTARIO
(aggiornamento Ottobre 2019)

1) introduzione

Quando si parla di patologia del processo tributario si ha riferimento ai vizi o anomalie del rapporto processuale o dei singoli atti del processo tributario
Relativamente al rapporto processuale le due generali forme patologiche consistono nella inammissibilità e nella improcedibilità, patologie ben distinte da quelle dei singoli atti processuali consistenti nella inesistenza, nullità  (di regola relativa tranne eccezioni) inefficacia e irregolarità.
Di seguito saranno analizzate, nel modo quanto più semplice e sintetico possibile, le varie patologie  che possono verificarsi nel processo tributario, premettendo una sintetica esposizione sulla patologia del processo civile le cui norme devono essere applicate in quanto compatibili e per quanto non disposto dalla normativa sul processo tributario  (comma 2 dell'art.1 del Dlgs 546/92), non senza ignorare che sia la dottrina che la giurisprudenza hanno elaborato varie tesi sulle stesse, tesi spesso contrastanti con quanto sarà esposto nei successivi paragrafi.

2) la patologia del rapporto processuale

a) l'inammissibilità
L'inammissibilità costituisce un vizio dell'intero rapporto processuale che il codice di procedura civile prevede espressamente solo per i giudizi di impugnazione. E' configurato come vizio di gravità estrema e tale da impedire lo svolgimento del rapporto processuale. La valutazione della sua sussistenza, affinchè il processo sia definito con una decisione rituale, è devoluta al giudice competente.
La declaratoria di inammissibilità (come del resto anche quella di improcedibilità di cui si dirà di seguito) comporta la non riproponibilità dell'impugnazione anche per l'ipotesi che non siano del tutto decorsi i relativi termini (v. art. 358 c.p.c. per l'appello e art. 387 c.p.c. per il ricorso per cassazione), improponibilità che sussiste (oltre che per l'inammissibilità) anche in caso di intervenuta dichiarazione di estinzione dell'impugnazione (Cass. 18236/2006), il che si giustifica per il principio di consunzione del diritto di impugnazione.
Ben si intende, comunque, che se l'improcedibilità o l'inammissibilità non sia ancora stata dichiarata e siano ancora aperti i termini per l'impugnazione può essere riproposto il gravame.
In ordine al decorso dei termini, in assenza della notifica della sentenza ex art.285 cpc, il termine breve decorre dalla notificazione (purchè valida) della prima impugnazione (v. SU sent. n.12084/16)
Il codice di procedura civile prevede la sanzione dell'inammissibilità del rapporto processuale per varie ipotesi di impugnazioni e precisamente: 1) in relazione alle impugnazioni ordinarie in generale (appello, ricorso per cassazione e revocazione, quest'ultima per i numeri 4 e 5 dell'art.395 c.p.c.) per intervenuta decadenza per inosservanza dei termini per l'impugnazione (artt. 325 e 327 c.p.c.), per acquiescenza, totale o parziale, (art.329 c.p.c.) e per omessa ottemperanza all'ordine di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili (art.331 c.p.c.), nonché, relativamente  all'impugnazione incidentale tardiva, in caso di inammissibilità di quella principale (art.334 cpc); 2)  in relazione  all'appello, per il  caso di sentenza non appellabile (art.339 c.p.c.), per la novità delle domande e delle eccezioni (art.345 c.p.c.), o anche per il caso che l'impugnazione non abbia “una ragionevole probabilità di essere accolta” (art.348 bis e 348 ter c.p.c.) a meno che non si tratti di appello in cui è previso l'intervento del P.M. (art.70 c.p.c.) oppure di appello avverso Ordinanza provvisoriamente esecutiva emessa nel procedimento sommario di cognizione (art.702 quater c.p.c.); 3) in relazione al ricorso per cassazione se il provvedimento impugnato “ha deciso questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte” e i motivi addotti non offrono elementi per confermare o mutare il detto orientamento oppure si tratta di censura manifestamente infondata “relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo” (art.360 bis c.p.c.) o anche se il ricorso “non è sottoscritto...da un avvocato iscritto nell'apposito albo” (art.365 c.p.c.) oppure non contiene i requisiti indicati dall'art.366/I c.p.c.;  4) in relazione alla revocazione che non indichi la motivazione o le prove (art.398 n.2 c.p.c.); 5) in relazione alla ricusazione del giudice che non sia proposta nella forma e nei termini stabiliti (art.54 c.p.c.).
E' comunque da rilevare che, se è pur vero che il codice di procedura civile non prevede espressamente ipotesi di inammissibilità dell'azione e del rapporto processuale per il giudizio di primo grado, tuttavia anche in questo giudizio possono verificarsi ipotesi di inammissibilità per carenza di un presupposto processuale quale, ad es., la giurisdizione, la competenza e la legittimazione ad agire o a resistere delle parti
Giova ricordare in proposito il principio secondo cui “L'azione di accertamento non può avere ad oggetto, salvo i casi eccezionalmente previsti dalla legge, una mera situazione di fatto, ma deve tendere all'accertamento di un diritto che sia già sorto, in presenza di un pregiudizio attuale e non meramente potenziale” (per  ultima, v. sent. Cass.  n. 28821/17).
b) l'improcedibilità
L'improcedibilità è, come l'inammissibilità, anch'essa riferita al rapporto processuale, ma, diversamente dalla prima, si rapporta all'esigenza che sia posta in essere un'attività di impulso processuale necessaria per il proseguimento del rapporto stesso. Peraltro una volta dichiarata, così come l'inammissibilità, rende non più proponibile l'impugnazione anche se non sono decorsi i termini (artt.358 cpc per l'appello e art.387 c.p.c. per il ricorso per cassazione), trovando pertanto applicazione i principi già enunciati, relativamente alla inammissibilità, in ordine alla consunzione del diritto di impugnazione-
Nel codice di procedura civile sono previsti vari casi di improcedibilità.
Per l'appello è prevista la dichiarazione di improcedibilità per l'ipotesi di omessa costituzione nei termini dell'appellante ed anche per l'omessa comparizione dello stesso alla nuova udienza fissata per la sua omessa comparizione alla prima udienza (art.348 c.p.c.).
Per il ricorso per cassazione l'improcedibilità è prevista per l'ipotesi di omesso deposito nella cancelleria del ricorso e dei documenti allegati (tutti indicati dall'art. 369,  II comma, c.p.c.) nonché per l'omesso deposito dell'atto di integrazione del contraddittorio ordinato dalla Corte (art.371 bis c.p.c.).
Ulteriori casi di improcedibilità sono previsti per l'ipotesi di nullità (ex art.164 c.p.c.) dell'atto di citazione per opposizione di terzo (art.408 c.p.c.), per omesso deposito nella cancelleria dell'atto di citazione per revocazione entro giorni 20 dalla notificazione (art.399 c.p.c.), per la domanda in materia di previdenza e assistenza obbligatoria proposta prima dell'esaurimento dei procedimenti  previsti per la composizione in via amministrativa o del decorso dei relativi termini o comunque prima che sia decorso il termine di giorni 180 dalla proposizione del ricorso amministrativo (art.443 c.p.c.).

 3) la patologia degli atti del processo

Per i singoli atti processuali la patologia si manifesta nelle forme della inesistenza, nullità assoluta, annullabilità, decadenza, inefficacia e irregolarità.
L'inesistenza è un vizio di gravità tale da non consentire la configurabilità dell'atto nella categoria degli atti processuali e pertanto non è giammai suscettibile di sanatoria. Esempi classici sono quelli della sentenza emessa da un soggetto che non è  giudice o della notifica fatta a soggetto che non è il destinatario dell'atto.
La nullità costituisce un vizio dell'atto processuale carente di taluno dei requisiti formali  la cui mancanza sia espressamente sanzionata con la nullità (principio della tassatività delle nullità processuali ex art.156 cpc) e deve essere dichiarata dal giudice poiché in difetto l'atto produce i suoi normali effetti. Essa, tuttavia, nonostante il principio predetto di tassatività, non può mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo (come tale intendendosi quello previsto dalla legge) a cui era destinato e, di contro, può comunque essere pronunciata se l'atto manca dei requisiti necessari per il raggiungimento dello scopo al quale era destinato (art.156 cpc). Opera con efficacia retroattiva (ex tunc),  può essere rilevata solo su istanza della parte interessata, purchè la stessa non vi abbia dato causa o non vi abbia rinunciato e la relativa istanza deve essere contenuta nella prima difesa successiva all'atto o alla conoscenza dello stesso (art.157 cpc).
Fa eccezione ai predetti principi la “nullità derivante dai vizi relativi alla costituzione del giudice o all'intervento del pubblico ministero” (art.158 c.p.c.) che è insanabile e deve essere rilevata di ufficio, ma pur sempre, nel caso si tratti di sentenza, nei limiti e secondo le regole proprie dei detti mezzi di impugnazione (art.161 c.p.c.: conversione della nullità in motivo di impugnazione), altrimenti resta coperta dal giudicato, a meno che non si tratti di sentenza inesistente in quanto carente della sottoscrizione del giudice (art. 161, II c, c.p.c.), e quindi mai sanabile.
Le ipotesi più rilevanti di nullità di atti nel processo civile sono quelle che concernono l'atto introduttivo del giudizio, ovvero l'atto di citazione, espressamente previste dall'art.164 c.p.c., attinenti al difetto dei requisiti indicati dalla legge.
Trattasi di vizi per cui è prevista la possibilità di sanatoria (es.: rinnovazione della notifica nel termine assegnato dal giudice o per costituzione del convenuto, art.164 c.p.c.). La nullità non può essere comunque pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo a cui era destinato (art.156, III comma, cpc).
Invero con l'art.164 cpc, intitolato nullità della citazione, il legislatore differenzia le ipotesi di nullità distinguendo quella relativa alla vocatio in judicium (chiamata in giudizio) da quella relativa alla editio actionis (contenuto dell'atto: petitum e causa petendi).
La prima ipotesi è prevista per i casi di omessa o incerta indicazione: a) del giudice innanzi al quale è fissata la comparizione; b) delle complete generalità dei convenuti; c) della data dell'udienza di comparizione oppure dell'avvertimento della decadenza prevista per tardiva costituzione del convenuto.
Per la prima ipotesi la costituzione del convenuto sana i vizi della citazione, restando comunque salvi gli effetti sostanziali o processuali già verificatisi (quali prescrizione o decadenza), a meno che il convenuto eccepisca l'inosservanza del termine di comparizione o la mancanza del prescritto avviso, circostanze per cui il giudice fissa una nuova udienza per garantire il rispetto del termine.
Se il convenuto non si costituisce il giudice dispone di ufficio la rinnovazione della citazione che, se eseguita, sana i vizi della stessa, sempre con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda. Tuttavia se l'attore non rinnova la citazione la causa viene cancellata dal ruolo e il processo si estingue.
La seconda ipotesi, ovvero quella concernente la editio actionis, è distinta in due sottospecie, ovvero : a) omessa o incerta determinazione dell'oggetto della domanda (petitum); b) omessa esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda con relative conclusioni (causa petendi).
Anche per questa seconda ipotesi è prevista una regolamentazione che è differenziata in relazione alla costituzione o meno del convenuto.
Invero, premesso che la mera costituzione del convenuto non può evidentemente avere alcuna idoneità per sanare il vizio della editio actionis, il legislatore ha disposto che se il convenuto si costituisce il giudice concede all'attore un termine per integrare la domanda. Se, invece, il convenuto non si costituisce, il termine è concesso per rinnovare la citazione.
Nell'ipotesi che l'attore non ottemperi all'ordine del giudice di rinnovare o integrare l'atto di citazione si applica l'art. 307, III comma, cpc in base al quale il processo si estingue “qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine stabilito dalla legge o dal giudice”.e
Si parla invece di inefficacia allorquando un atto pur essendo perfettamente valido (poiché se invalido non può mai produrre alcun effetto) non è idoneo per la produzione di effetti in quanto indifferente nei confronti dei soggetti non aventi alcun interesse per esso (come la sentenza che ha effetti solo tra le parti e i loro aventi causa).
L'irregolarità, infine, consiste nella mera difformità dell'atto dal modello legale, difformità che però non incide né sulla validità né sull'efficacia, quale, ad es., il difetto nell'atto di citazione dell'indicazione del codice fiscale dell'attore di cui siano indicate le generalità complete.
Da quanto sopra esposto si evince chiaramente la differenza sostanziale tra la nullità dell'atto processuale, che è normalmente suscettibile di sanatoria, e l'inammissibilità e improcedibilità che sono riferite all'intero rapporto processuale e giammai consentono la sanatoria.

4) La nullità del ricorso tributario

Come si è già chiarito nel processo civile l'inammissibilità è espressamente prevista solo per i processi di impugnazione pur se ipotesi di inammissibilità possono verificarsi anche nel giudizio di primo grado.
Nel processo tributario, invece, la sanzione dell'inammissibilità è prevista espressamente oltre che nei giudizi di impugnazione (Dlgs 546/92: artt.53,54, 57 e 60 per l'appello, artt. 63 e 65 per il giudizio di cassazione, art.66, che è norma di rinvio, per la revocazione, e art. 70 per il giudizio di ottemperanza), anche per il giudizio di primo grado (artt.18, 21, 22, 24, 27 e 28 Dlgs.546/92).
Più precisamente sono previste varie ipotesi di inammissibilità riferite al ricorso in primo grado nonché altra ipotesi riferita al deposito del reclamo avverso il provvedimento presidenziale avente ad oggetto  l'esame preliminare del ricorso (art.27 cpc).
Le varie ipotesi di inammissibilità riferite al giudizio tributario di primo grado sono esaminate di seguito, ma è necessario premettere una breve considerazione.
La scelta del legislatore di preferire di sanzionare con l'inammissibilità invece che con la nullità i vizi del ricorso di primo grado, così palesando di ritenere che il vizio del ricorso si riflette sull'intero rapporto processuale e non sul singolo atto, se pure potrebbe essere attribuita alla circostanza che il giudizio tributario ha sempre la natura di giudizio di impugnazione/merito, tuttavia non convince sia perchè al processo tributario, in virtù del principio posto dall'art.1 Dlgs 546/92, si applicano le norme del processo civile, sia perchè è da escludere che la esplicita previsione dell'inammissibilità di cui al comma 4 dell'art.18 Dlgs 546/92 (“se manca o è assolutamente incerta una delle indicazioni di cui al comma 2”) possa escludere il rimedio delle sanatorie previste dall'art.156/3 cpc (raggiungimento dello scopo) e dall'art.164 cpc (costituzione del convenuto o ordine del giudice).
A tale conclusione si perviene anche in considerazione del disposto di cui all'art.22 Dlgs 546/92 che, disciplinando le modalità di costituzione del ricorrente, prevede espressamente che “L'inammissibilità del ricorso è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio anche se la parte resistente si costituisce a norma dell'articolo seguente”.
Invero la rilevabilità di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ed anche in ipotesi di costituzione del convenuto, è caratteristica peculiare dell'inammissibilità del rapporto processuale e tale caratteristica è prevista espressamente ed unicamente dal cit. art.22 per le sole ipotesi ivi indicate, onde è da escludere che le tipologie invalidanti  per le diverse ipotesi di vizi del ricorso previste dal cit. art.18 siano inquadrabili (come erroneamente è testualmente affermato in esso cit. art.18) nella inammissibilità, trattandosi invece di ipotesi di nullità che, come si dirà di seguito, sono suscettibili di sanatoria.
Conclusivamente si ritiene che la mancanza o l'assoluta incertezza degli elementi del ricorso tributario, elencati dall'art.18 cit. - con esclusione del codice fiscale e dell'indirizzo pec (che determinano unicamente l'irregolarità del ricorso) e della sottoscrizione del difensore o del ricorrente (se abilitato alla difesa personale ex art.12 Dlgs cit.) che sono cause di inesistenza- determinano non già l'inammissibilità del rapporto processuale, ma unicamente la nullità del ricorso, nullità che, ai sensi degli artt.157 e 164 cpc (ai quali rinvia genericamente l'art.1 Dlgs.546/92) è suscettibile di sanatoria, mentre la sanzione dell'inammissibilità è ricollegabile unicamente alla violazione delle modalità di costituzione del ricorrente ex art.22 cit.
Come si dirà di seguito gli elementi previsti a pena di nullità del ricorso sono indicati dall'art.18 cit. mentre le ipotesi di inammissibilità (ulteriori rispetto a quelle previste dall'art.22 cit.) previste dagli artt. 24 (inosservanza del termine per la dichiarazione di proporre motivi aggiunti) e 28 (inosservanza del termine per il deposito del reclamo contro i provvedimenti presidenziali) Dlgs 546/92,  costituiscono  ipotesi di inammissibilità conseguenti alla decadenza per inosservanza di termini perentori. Invece l'ipotesi (indicata come inammissibilità) di cui all'art.27 Dlgs 546/92 concerne la dichiarazione del presidente del collegio giudicante  in esito all'esame preliminare del ricorso, dichiarazione che, per quanto già rilevato, non sempre è di inammissibilità, poiché il predetto presidente dichiara l'inammissibilità solo nei casi previsti (es. artt.24 e 28 cit.) e solo se manifesta e comunque può anche dichiarare la sospensione, interruzione o estinzione del processo.
Tanto premesso è agevole rilevare che le ipotesi di nullità di cui all'art.18 cit. concernono essenzialmente l'indicazione del giudice, delle parti, dell'atto impugnato, dell'oggetto della domanda nonché dei motivi di impugnazione, mentre, come già accennato, la mancanza di sottoscrizione del difensore (con indicazione della categoria di appartenenza)  o del ricorrente (in ipotesi di difesa personale ex art.12 Dlgs cit.) comportano (con le eccezioni di cui si dirà di seguito) l'inesistenza del ricorso con conseguente esclusione di qualsivoglia sanatoria.
E' da rilevare che tra i requisiti del ricorso non è prevista l'indicazione dei mezzi di prova, indicazione invece prevista dall'art. 23 Dlgs cit. per l'atto di costituzione del resistente. Tanto trova logica spiegazione considerando la natura impugnatoria del processo tributario nel quale l'onus probandi incombe sul resistente che è attore in senso sostanziale.

5) Gli elementi necessari del ricorso tributario

Premesso che il ricorso deve essere redatto nella lingua italiana, si indicano di seguito gli elementi necessari dello stesso il cui difetto comporta nullità dell'atto.
A) l'indicazione della commissione tributaria cui è diretto
Trattasi di ipotesi del tutto differente da quella della competenza territoriale.
Nell'ipotesi che sia indicata nel ricorso una commissione diversa da quella alla quale sia stato correttamente indirizzato il ricorso la divergenza resta sanata (ex art.156 cpc) dalla costituzione dell'ente convenuto che abbia avuto conoscenza della commissione effettivamente adita (correttamente indicata nella copia del  ricorso notificatagli).
Il problema della competenza territoriale si pone invece solo se la commissione indicata nel ricorso e di fatto adita non ha competenza sul ricorso. In tale ipotesi trova applicazione l'art.5 Dlgs. cit.: il giudice anche di ufficio dichiara la propria incompetenza territoriale e il processo deve essere riassunto davanti alla commissione competente.
B) l'indicazione del ricorrente e del suo legale rappresentante, della residenza o sede legale, domicilio, codice fiscale e indirizzo pec
Come già premesso va esclusa la nullità per la omessa indicazione del codice fiscale o dell'indirizzo pec del ricorrente, omissioni che costituiscono mere irregolarità, essendo possibile rilevare i dati dalla necessaria indicazione delle generalità del ricorrente. Parimenti è da escludere la nullità per l'omessa indicazione della residenza, della sede legale o del domicilio del ricorrente poiché per il difetto delle dette indicazioni l'art.17 Dlgs cit. prevede la comunicazione degli atti nella Segreteria della Commissione.
Per quanto invece concerne l'omessa indicazione del legale rappresentante del ricorrente (persona giuridica o minore) la nullità va esclusa, per il principio di conservazione degli atti desumibile dall'ultimo comma dell'art.18 (se manca o è assolutamente incerta una delle indicazionidi cui al comma 2), nell'ipotesi che lo stesso sia identificabile nei documenti della causa (es. nel mandato conferito al difensore o anche nel verbale di constatazione, v. Cass.5413/16).
C) l'indicazione dell'ufficio nei cui confronti l'atto è proposto
Come si verifica per ogni domanda giudiziale anche per il ricorso tributario è necessaria l'indicazione del convenuto. Deve pertanto essere indicato se il ricorso è proposto contro l'Ufficio dell'A.F., l'Ente impositore, l'Agente della Riscossione o il gestore dei tributi locali che emise l'atto impugnato o non emise l'atto richiesto, con la precisazione che nell'ipotesi (frequente per gli Enti locali) che anche l'accertamento risulti affidato all'AdR la competenza è della Commissione nel cui distretto ha sede esso AdR.
Ovviamente, per il già indicato principio di cui all'art.18, ult. c, Dlgs cit, la nullità è da escludere nell'ipotesi che il convenuto sia identificabile in base ai dati contenuti nel ricorso (es.: ricorso per IMU relativa ad immobile sito nel Comune X: convenuto è indiscutibilmente il Comune X), come pure è da escludere la nullità se l'indicazione dell'ente convenuto risulti dal corpo del ricorso.
E' da ritenere, in ogni caso, che la costituzione dell'ente convenuto sani ogni difetto del ricorso/citazione dello stesso, (esclusa l'ipotesi che l'ente convenuto si costituisca per eccepire che il ricorso sia stato notificato oltre il termine di giorni 60 di cui all'art.21 Dlgs) in applicazione dell'art.156 c.p.c., ovvero del raggiungimento dello scopo, principio desumibile, come già detto anche dall'art.18 ult. c. cit. poiché la detta costituzione prova che l'incertezza non era assoluta.
E' parimenti da escludere la nullità nell'ipotesi di notifica del ricorso ad un ufficio o articolazione interna dell'ente diversa da quella effettivamente competente, poiché la qualità di parte è attribuibile all'ente nella sua unitarietà e non ai suoi uffici interni (Cass. 30753/11).
D)l'indicazione dell'atto impugnato
Va subito chiarito che la legge richiede unicamente l'indicazione dell'atto impugnato poiché né l'art. 18 cit. né l'art.22 Dlgs cit. richiedono che il detto atto sia prodotto (v. Cass. 21509/2010).
Relativamente alla indicazione dell'atto si rinvia all'art.19 Dlgs cit. nel quale sono indicati gli atti impugnabili innanzi al giudice tributario. In proposito va evidenziato che il cit. art.19, dopo avere elencato gli atti che possono essere oggetto di impugnazione, alla lettera i) aggiunge che è inoltre impugnabile ogni altro atto per il quale sia prevista dalla legge l'impugnabilità autonoma innanzi al giudice tributario.
L'elencazione degli atti impugnabili ha evidente natura tassativa, tuttavia la giurisprudenza ha ritenuto che essa vada interpretata estensivamente, nel rispetto dei principi costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., sì che deve considerarsi impugnabile “ogni atto adottato dall'ente impositore che porti a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali”. E' stato pertanto ritenuto impugnabile, tra gli altri atti, anche il c.d. avviso bonario (v. tra le più recenti Cass. 1505/17).
Va infine precisato che se viene impugnato il rifiuto tacito alla restituzione di tributi, sanzioni ed accessori, nel ricorso devono essere indicati gli estremi della richiesta (data, Ufficio al quale fu presentata) al fine di consentire al giudice di verificare l'avvenuto decorso del tempo per la formazione del rifiuto di rimborso (ex art.21, II comma, Dlgs cit.).
E) l'indicazione dell'oggetto della domanda e dei motivi di impugnazione
Come nell'atto di citazione civile anche nel ricorso tributario elementi necessari sono il c.d. petitum e la causa petendi.
Poichè, come si è già detto il giudizio tributario è un giudizio sul rapporto, ovvero sul merito della pretesa, l'oggetto immediato è costituito dal provvedimento richiesto al giudice, provvedimento che generalmente consiste nell'annullamento dell'atto impugnato o nell'emissione dell'atto richiesto e rifiutato dall'ente, mentre l'oggetto mediato consiste nell'accertamento negativo della pretesa tributaria o nel riconoscimento del diritto al rimborso delle somme indebitamente percepite dall'ente.
I motivi invece consistono nelle ragioni della domanda, ovvero nell'affermazione di fatti negativi della pretesa tributaria, ovvero di fatti estintivi, modificativi o comunque impeditivi della domanda dell'ente, molto più semplicemente nelle censure in fatto e in diritto rivolte all'atto impugnato. Essi possono essere indicati anche sommariamente, senza eccessiva specificità, ma costituiscono elemento necessario del ricorso perchè consentono di individuare il nucleo delle censure rivolte all'atto impugnato (v. Cass. 25756/14 e 10524/17).
Ovviamente la valutazione dell'esistenza o meno dell'oggetto e dei motivi del ricorso deve essere effettuata sulla base di un esame complessivo del ricorso: solo se in esito a tale esame risulti che non è possibile individuare il petitum o la causa petendi il ricorso dovrà ritenersi viziato da nullità.
L'integrazione dei motivi del ricorso deve sempre ritenersi possibile fino alla scadenza dei termini per la proposizione del ricorso. Invece la proposizione di motivi aggiunti, resa necessaria dalla produzione ex adverso o per ordine del giudice di documenti non conosciuti, è ammessa entro il termine di giorni 60 dalla conoscenza dei documenti (art.24 Dlgs cit.).
F) La sottoscrizione del difensore e l'indicazione della categoria e della procura
Il comma 4 dell'art.18 cit. include tra le cause di inammissibilità del ricorso la sottoscrizione del difensore con l'indicazione della categoria di appartenenza dello stesso e della procura alle liti.
Come già rilevato il difetto delle indicazioni di cui al comma 2 dell'art.18 cit. costituisce causa di nullità, eventualmente anche sanabile, del ricorso e non di inammissibilità. Invece il difetto di sottoscrizione del difensore (o dello stesso ricorrente se abilitato alla difesa personale ex art.12 Dlgs. cit.) costituisce causa di inesistenza del ricorso che, comunque, può essere riproposto, ritualmente firmato, prima del decorso dei termini per la sua proposizione.
Nella vigente formulazione (Dlgs.156/2015) il terzo comma dell'art.18 cit. non richiede più (come nella formulazione previgente) che la sottoscrizione del difensore sia apposta sia sull'originale del ricorso notificato sia sulla copia depositata in segreteria, onde è sufficiente che essa risulti apposta anche solo sull'originale dell'atto notificato alla controparte mediante consegna o spedizione postale, oppure solo su quello depositato in segreteria in caso di notifica a mezzo ufficiale giudiziario.
Chiaramente quanto sopra affermato in ordine alla firma del difensore vale anche per la firma del contribuente per l'ipotesi in cui è consentita la difesa personale del ricorrente (controversie di valore fino ad euro 3.000) oppure che il contribuente possiede egli stesso una delle qualifiche indicate dall'art.12 per l'assistenza del ricorrente.
E' altresì evidente che la procura al difensore, sia che sia rilasciata con atto autonomo sia che sia apposta in calce o a margine del ricorso, dovrà contenere anche la firma del contribuente ricorrente, pena anche in tal caso l'inesistenza dell'atto.
Il difetto di sottoscrizione dell'atto (a meno che non sia riproposto nei termini con la firma) non è sanabile in alcun modo.Non si ritiene condivisibile infatti quel filone di giurisprudenza (da ultima Cass. 11793/18) che, se pure riferibile all'atto di citazione del processo civile e non al ricorso tributario, afferma che “Quel che rileva, ai fini del raggiungimento dello scopo di un atto affetto da nullità per difetto di sottoscrizione, è non già la sua conoscibilità...ma la sua riferibilità alla persona che ne appare l'autore”, ritenendo così sufficiente a tal fine “l'indicazione, nella relazione di notificazione, che quest'ultima è stata effettuata ad istanza del difensore indicato come autore dell'atto”. In contrario vale osservare che l'ipotesi di difetto assoluto della firma dell'autore dell'atto configura un caso di inesistenza, in quanto tale mai sanabile, e non già di nullità. Ovviamente l'omessa sottoscrizione dell'atto deve essere intesa in senso restrittivio, ovvero come mancanza assoluta del requisito predetto, mancanza che è da escludere, per il principio della prevalenza della sostanza sulla forma, “allorchè la copia dell'atto, notificata all'ufficio finanziario, sia una fotocopia dell'originale regolarmente sottoscritto e depositato nella segreteria della commissione tributaria, ben potendo, in tal caso, l'amministrazione finanziaria riscontrare l'esistenza della firma della parte o del suo difensore tramite consultazione di detto originale cui la fotocopia notificata implicitamente rinvia” (Cass. 4315/2011).
Nell'ipotesi di ricorso proposto personalmente dal contribuente senza assistenza del difensore in causa in cui, ex art.12 Dlgs cit., non sia consentita la difesa personale del ricorrente (valore superiore ad euro 3.000), superate le ambiguità dovute alla previgente formulazione dell'art.12 cit. che prevedeva l'invito del giudice al ricorrente di munirsi di difensore solo per le cause in cui era consentita la difesa personale, invito che la Consulta e le SSUU della Cassazione (sent.22601/2004)
avevano ritenuto di estendere anche all'ipotesi di necessità dell'assistenza difensiva, la questione è stata risolta con la riforma apportata all'art.12 cit. dal Dlgs. 156/2015.
In sede di riforma è stato infatti aggiunto all'art.12 il comma 10 che rende applicabile al caso in questione l'art.182 cpc in base al quale se il giudice (rectius: il presidente) rileva un difetto di assistenza assegna all'attore un termine perentorio per il rilascio della procura. L'osservanza del termine e il rilascio della procura sana il vizio e gli effetti sostanziali e processuali della domanda retroagiscono sino alla prima notificazione. All'opposto, in caso di inosservanza dell'invito, il ricorso è da ritenere inesistente.
Va infine rilevato che, se pure l'art.18 prevede che nel ricorso sia indicata la categoria del difensore (tra quelle previste dall'art.12 Dlgs cit.) e l'atto contenente il conferimento dell'incarico (atto pubblico, scrittura privata, in calce o a margine di un atto del processo), l'omissione di dette indicazioni configura mera irregolarità, poiché il terzo comma dell'art.18 sanziona con la inammissibilità unicamente l'omessa indicazione dei requisiti previsti dal comma 2 (omissione costituente, come già detto, nullità) e l'omessa sottoscrizione (che in effetti costituisce inesistenza con i limiti di cui si è    è detto).

6) L'inammissibilità del ricorso tributario
Mentre, come si è visto, le ipotesi elencate dall'art. 18 Dlgs cit. costituiscono cause di nullità del ricorso tributario, quasi sempre suscettibili di sanatoria, invece l'art.22 Dlgs cit. prevede vere e proprie cause di inammissibilità del ricorso ricollegate alla costituzione in giudizio del ricorrente, inammissibilità in quanto tale mai sanabile, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche se la parte resistente si costituisce in giudizio (art.22, comma 2), caratteristiche queste non contemplate  dall'art.18  che pertanto, come già detto, prevede mere cause di nullità normalmente sanabili.
Va invero rilevato che dopo che del ricorso sia stato notiziato l'ente (impositore o riscossore) mediante consegna diretta, notifica a mezzo ufficiale giudiziario o a mezzo posta, è necessario che esso ricorso sia portato a conoscenza del giudice tributario.
Infatti, se è pur vero che il processo inizia dal momento in cui il destinatario ha notizia del ricorso (litis initia a citatione), è sempre comunque necessario che esso sia portato a conoscenza del giudice perchè il processo possa ritualmente e di fatto proseguire. E' pertanto previsto, da parte del ricorrente, un successivo e necessario atto di impulso processuale costituito dalla sua costituzione.
L'art.22 cit. dispone pertanto che il ricorrente, dopo proposto il ricorso, deve depositare, o trasmettere a mezzo posta raccomandata a.r., a pena di inammissibilità, nella segreteria del giudice tributario adito, l'originale del ricorso se notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, oppure copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o spedizione, oltre ad altra accessoria documentazione.
Le differenti ipotesi di deposito (originale o copia) trovano logica spiegazione considerando che in caso di notifica a mezzo ufficiale giudiziario il ricorrente è in possesso dell'originale del ricorso con la relata di  notifica (al resistente è consegnata la copia), mentre in caso di consegna o spedizione l'originale si trova in possesso del resistente.
Poichè, come già rilevato, nelle cause di valore superiore ad euro 3.000,00 è necessaria l'assistenza del difensore tecnico (ex art. 12 Dlgs cit,), la costituzione deve avvenire, a pena di inammissibilità, a mezzo di difensore munito di procura. In caso di inosservanza il giudice tributario deve concedere termine (ex art.182 cpc a cui rinvia l'art.12/10 cit.) al ricorrente per munirsi di difensore. Il ricorso è inammissibile se il ricorrente non ottempera all'ordine.
E' da rilevare che se il ricorrente non si costituisce del ricorso non vi sarà traccia nella segreteria del giudice onde non potrà essere posto in essere alcun provvedimento poiché non è previsto  (come è invece previsto nel processo civile) l'iscrizione a ruolo da parte del resistente (la nota di iscrizione a ruolo deve essere depositata dal ricorrente ex art.22 cit.).
Se invece il ricorrente si costituisce tardivamente (ovvero dopo il decorso dei 30 giorni dalla notifica del ricorso, conteggiato anche il termine per il reclamo ex art.17 bis Dlgs cit.), quale che sia la richiesta del resistente il giudice non potrà fare altro che dichiarare l'inammissibilità del ricorso.
Tra la documentazione che il ricorrente deve depositare, a pena di inammissibilità del ricorso, rilevano in particolare la fotocopia della ricevuta di deposito (per il ricorso consegnato) o quella della ricevuta di spedizione (per il ricorso spedito per posta), poiché da esse è possibile desumere la tempestività o meno della notifica del ricorso in relazione al termine di costituzione del ricorrente (giorni 30 ex art.22 cit.).
Sul punto giova precisare che, secondo il più autorevole e pienamente condivisibile insegnamento giurisprudenziale (SU 13452/17 e 10526/18), il termine di giorni 30 di cui all'art.22 cit.  nell'ipotesi di notifica a mezzo posta raccomandata decorre dal ricevimento e non dalla spedizione della raccomandata, non essendo determinante, in contrario, che la legge richieda solo il deposito della ricevuta di spedizione, poiché non è logicamente giustificabile costringere il ricorrente a costituirsi senza neppure sapere se il resistente abbia avuto o meno conoscenza del ricorso, ferma comunque restando la facoltà dello stesso di costituirsi prima.
E' in ogni caso necessario, al fine di provare la regolare instaurazione del contraddittorio (anche se non ve ne è menzione nell'art.22), che il ricorrente depositi nella segreteria del giudice anche l'avviso di ricevimento, ovviamente non appena ne venga in possesso, e quindi anche dopo la scadenza del termine previsto dall'art.22. E' evidente, però, che è superfluo il predetto deposito dell'avviso se il resistente si costitisce nei termini.
Ovviamente il calcolo del termine di costituzione del ricorrente, la cui violazione è sanzionata con l'inammissibilità e il cui computo segue quello ordinario dei termini processuali (quale ad es. la sospensione nel periodo feriale), varia in relazione al valore della causa, poiché per quelle di valore non superiore ad euro 50.000 (per le quali il ricorso ha anche gli effetti di un reclamo ex art.17 bis Dlgs cit.) è prevista la mera improcedibilità fino al novantesimo giorno e solo successivamente scatta il termine di giorni 30 la cui violazione è sanzionata con l'inammissibilità.
Altra causa di inammissibilità è prevista dall'art.22, comma 3,  e consiste nella difformità tra il ricorso originale consegnato o spedito per posta (poiché in caso di notifica a mezzo ufficiale giudiziario l'attestazione è sullo stesso) e la copia depositata nella segreteria, essendo onerato il ricorrente di attestarne la conformità all'originale.
E' tuttavia da ritenere che la omessa attestazione non provoca l'inammissibilità nell'ipotesi che il resistente si costituisca ritualmente senza nulla eccepire, anche in considerazione del previsto potere del giudice di ordinare la produzione degli originali degli atti ex art. 22 ult. comma.
Va comunque precisato che non si richiede che anche nella copia del ricorso sia apposta la procura al difensore.
Insieme con i documenti suddetti, la cui omessa produzione è sanzionata con l'inammissibilità del ricorso, è poi previsto, senza la previsione di alcuna sanzione, che il ricorrente deve depositare il “proprio fascicolo, con l'originale o la fotocopia dell'atto impugnato se notificato e i documenti che produce, in originale o fotocopia”.
Va in proposito rilevato che, se pure la legge nulla dice, è da ritenere che deve essere depositata anche la procura al difensore (se sia richiesta l'assistenza difensiva) se rilasciata con atto separato dal ricorso.
E' altresì da ritenere che in caso di contestazione della controparte è necessario produrre anche l'atto impugnato con la relativa relata di notifica al fine di consentire al giudice di controllare la tempestività dell'impugnazione poiché l'art.21 Dlgs cit. sanziona con l'inammissibilità la violazione del relativo termine (v. Cass.10209/18).
In ogni caso il fascicolo e i documenti di cui si è detto possono essere prodotti fino a 20 giorni liberi prima dell'udienza di trattazione (ex art.32 Dlgs cit.) oppure su ordine del giudice (ex art.22, comma 4 Dlgs cit.).
Va rilevato, inoltre, che per il disposto di cui all'art.32 DPR 602/73 le notizie, i dati e i documenti non esibiti su richiesta dell'AF non possono essere considerati a favore del contribuente non solo in sede amministrativa ma anche in sede contenziosa, a meno che il ricorrente non li depositi in allegato al ricorso opponendo di non averli prodotti prima per causa a lui non imputabile.
Prescindendo, comunque, dai vizi nella costituzione del ricorrente che, come già detto, provocano l'inammissibilità del ricorso, si osserva che l'omessa costituzione del resistente, al quale sia stato ritualmente notificato il ricorso, non impedisce la nascita del processo che dipende esclusivamente dal ricorrente, essendo del tutto irrilevante il comportamento della controparte ai fini processuali.
Infine una notazione rilevantissima. Con le sentenze n.189/2000 e 520/2002 la Corte Costituzionale ebbe modo di chiarire che le previsioni di inammissibilità, in considerazione del rigore sanzionatorio che le contrassegna, vanno interpretate in senso restrittivo “limitandone cioè l'operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo sia davvero giustificato”.
Il giudice di legittimità già da tempo, ma anche di recente, ha condiviso l'insegnamento della Consulta affermando che “la chiave di volta dell'intero regime delle inammissibilità del ricorso tributario  introduttivo del giudizio tributario va individuata nel quinto comma dell'art.22 Dlgs 546 del 1992 (secondo cui “ove sorgano contestazioni il giudice tributario ordina l'esibizione degli originali degli atti e dei documenti di cui ai precedenti commi), il quale stabilisce una sorte di possibile causa di esclusione della sanzione dell'inammissiilità quando vi sia modo di accertare la sostanziale regolarità dell'atto e l'osservanza delle regole processuali fondamentali” (Cass. 10282/13 e 17963/19).

7) L'improcedibilità del ricorso tributario
Il caso più eclatante di improcedibilità del ricorso tributario è previsto dall'art.17 bis Dlgs 546/92 e concerne le controversie di valore non superiore ad euro 50.000 (valore così determinato dall'art.10 DL 50/17 conv. in L. 96/17) per le quali è disposto che “il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell'ammontare della pretesa” e che “il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di  notifica...”.
La disposizione di cui all'art.17 bis cit. si applica agli atti tributari sia degli enti impositori che degli enti che curano la riscossione dei tributi.
Il termine di giorni novanta, imposto per la procedibilità del ricorso, è previsto per il riesame in autotutela del provvedimento e per l'esame della eventuale proposta di mediazione presentata dal contribuente.
Nell'ipotesi che il ricorrente si costituisca prima del decorso del novantesimo giorno dalla notifica del ricorso la commissione deve rilevare di ufficio la improcedibilità del ricorso e rinviare l'udienza a data successiva alla scadenza del termine predetto.
Giova ricordare che prima della sentenza della Consulta n.96/2014 (con la quale fu accolta l'eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dalla Commissione Tributaria di Campobasso per violazione dell'art.24 Cost.) la presentazione del reclamo era configurata come condizione di ammissibilità del ricorso, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

     8) Le ulteriori ipotesi di inammissibilità e improcedibilità del ricorso tributario
       nei procedimenti di impugnazione

Per quanto concerne le ulteriori ipotesi di inammissibilità e improcedibilità del ricorso tributario nei procedimenti di impugnazione è necessario fare riferimento agli artt.49, comma 1, Dlgs 546/92 per le impugnazioni in generale, all'art.61 Dlgs cit. per l'appello,  all'art.62 Dlgs cit. per il ricorso per cassazione e all'art.66 Dlgs cit. per la revocazione.
La prima norma (art.49/I) testualmente dispone che “alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie si applicano le disposizioni del titolo III, capo I, del libro II, del c.p.c., escluso l'art.337 e fatto salvo quanto disposto nel presente decreto”.
Consegue che al processo tributario di impugnazione è applicabile la disciplina generale delle impugnazioni contenuta negli articoli dal 323 al 338 del c.p.c., escluso l'art.337 e fatte salve le disposizioni specifiche contenute nel Dlgs 546/92.
Sono pertanto applicabili alle impugnazioni tributarie in generale le ipotesi di inammissibilità previste dagli artt. 325 e 327 cpc (decorrenza del termine di impugnazione), 329 cpc (acquiescenza alla sentenza), 331 cpc (omessa attuazione dell'ordine di integrazione del contraddittorio), 334 cpc (inammissibilità dell'impugnaz. incidentale tardiva in caso di inammissibilità della impugnazione principale).
L'art.61 Dlgs cit. dispone che “nel procedimento di appello si osservano in quanto applicabili le norme dettate per il procedimento di primo grado, se non sono incompatibili con le disposizioni della presente sezione”.
Pertanto anche per l'appello valgono, con riferimento agli elementi che devono essere indicati nell'atto, e di cui all'art.53, I comma, le stesse considerazioni effettuate con riferimento all'art.18 per il giudizio di primo grado, onde l'indicazione dei detti elementi deve intendersi prevista a pena di nullità sanabile (e non di inammissibilità come afferma l'art.53).
Per quanto concerne le forme ed il deposito del ricorso, nonché le forme e modalità di proposizione dell'appello incidentale,  sono  gli  stessi artt. 53 e 54  che, disciplinando l'appello, rinviano agli artt.20 e 22 Dlgs cit., sì che devono intendersi richiamate in questa sede le considerazioni già formulate in relazione alle dette norme.
Va inoltre rilevato che l'art.57 prevede la declaratoria di inammissibilità per la proposizione di domande nuove.
L'art.62 Dlgs. cit. al secondo comma dispone testualmente che “al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto”.
Pertanto per quanto concerne l'inammissibilità del ricorso sono applicabili le norme di cui all'art. 360 bis  (impugnazione di provvedimento conforme a giurisprudenza di legittimità senza addurre motivi rilevanti), 365 (omessa sottoscrizione di difensore abilitato) e 366/I (difetto di indicazione degli elementi essenziali del ricorso), c.p.c. mentre per quanto concerne l'improcedibilità sono applicabili le norme di cui agli artt.369/II (omesso deposito nel termine del ricorso e degli allegati prescritti) e 371 bis cpc. (omesso deposito nella cancelleria dell'atto di integrazione del contraddittorio disposto dalla Corte).
Va inoltre precisato che, con riferimento al giudizio di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione innanzi al giudice di merito, l'art.63 Dlgs prevede la sanzione della inammissibilità per l'omessa produzione di copia autentica della sentenza di cassazione.
Per quanto concerne infine la revocazione l'art.66 Dlgs cit. dispone che “Davanti alla commissione tributaria adita per la revocazione si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti ad essa in quanto non derogate da quelle della presente sezione”.
Devono pertanto intendersi richiamate tutte le cause di inammissibilità previste per il primo ed il secondo grado (in relazione alla commissione trbutaria provinciale o regionale competente per la revocazione).
Anche per il giudizio di revocazione si ripropone pertanto il problema della sanzione prevista per l'omessa indicazione degli elementi costituenti il contenuto del ricorso, sanzione che, in base all'art.65 Dlgs è la inammissibilità laddove, per quanto già in precedenza affermato, deve ritenersi trattarsi di nullità anche sanabile.



Giuseppe Di Nardo
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